L’opera scultorea di Fiorenzo Zaffina da anni si distingue per il suo particolare approccio fisico alla materia. I lavori più noti di questo artista sono quelli legati agli interventi murali: scavi, strappi, lacerazioni, ferite e graffi inferti all’epidermide della parete e successivamente completati da innesti pittorici e installativi, azioni di un’anarchitettura lirica votata alla scoperta di apparati narrativi inesplorati e all’invenzione di forme nuove e rivelatrici. Quella di Zaffina è un’opera complessa che si declina in strutture compositive polivalenti, frutto di una ricerca rigorosa, i cui risultati più recenti sono oggetto di una personale dal titolo “Forme del vuoto” allestita presso il MAON di Rende (CS) e curata da Tonino Sicoli e Massimo Scaringella.
Nello specifico, la mostra ripercorre le ultime tappe della sperimentazione sopra accennata e rende conto delle verifiche effettuate sulle potenzialità espressive di materiali eterogenei. Perché nel corso dell’ultimo trentennio Zaffina ha segnato con i suoi scavi non solo muri, ma anche poliuretani, plastiche, legni e alluminio, scegliendo infine d’intervenire in maniera più ampia e programmata anche sul plexiglass, protagonista assoluto dell’esposizione. Quest’ultimo, infatti, è un supporto che ben si presta alla valorizzazione di determinati effetti plastici grazie alle peculiari e distintive capacità di accogliere la luce nella sua trasparente volumetria, di dilatare le forme e valorizzare il colore con le sue qualità prismatiche.
È così che le opere in mostra restituiscono il vigore tipico della scultura di Zaffina, coniugando ad esso una struttura più composta e sinuosa, assimilabile a quella di un certo design radicale condotto, però, ben oltre il perimetro delle sue abituali connotazioni estetiche. In tal senso, questo nuovo ciclo di lavori regala inediti motivi di approfondimento sulla ricerca del nostro artista e sulla direzione tracciata dalle sue linee evolutive. Esso permette, ad esempio, di apprezzare il segno dello “scavo” da una prospettiva nuova, marcatamente oggettuale e strettamente scultorea, resa tale dalla libertà, offerta al gesto dal monolite in plexiglass, di ampliarsi in una spazialità compiutamente tridimensionale. In quest’ottica i solchi, le curvature e i tagli impressi nel vetro artificiale si presentano come la pantomima di psichedeliche metamorfosi, segni indelebili di una trasformazione avvenuta sulla materia e indotta da un poderoso ed inesorabile processo di erosione e scivolamento delle forme.
In queste sculture Zaffina concretizza un vuoto dinamico, impaziente di espandersi, pronto a coagularsi in un corpo, aperto ad una sovrapposizione di interventi che ri-disegnano i confini del suo esistere. Ogni singolo lavoro si presenta, da un lato, come elemento concettualmente autonomo, perché dotato della complessità – morfologica e semantica – tipica della monade, dall’altro, come dispositivo elementare del dialogo innescato dal rigoroso allestimento pensato per le sale di Palazzo Vitari. Opportunamente collocato nella sequenzialità dell’esposizione, infatti, ogni singolo pezzo accostato all’altro sembra suggerire un fluire della materia dotato di magmatica vivacità e proteso al raggiungimento di un’ancestrale consistenza sub-fisica.
Ad affiancare questo nucleo di sculture, non manca poi “Siamo Tutti Santi”, un imponente intervento site-specific composto da uno scavo a parete arricchito da un’inclusione in plexiglass. L’opera riproduce l’immagine simbolica di un fascio di luce irradiato da un’aureola poggiata sulla sommità della superficie solcata. Un lavoro che, come ha sottolineato Tonino Sicoli, “ironizza su una santità profana” completando, anche solo idealmente, il discorso sull’immaterialità e l’etereo posto al centro del progetto rendese.
di Gregorio Raspa