Fiorenzo Zaffina è conosciuto per le sue tracce scavate nei muri. Inizia negli anni 90 con il gesto apparentemente violento dello “spaccare” muri e quant’altro, creando la poesia dalle crepe. Così che i muri, fino ad allora silenti sullo sfondo, diventano finalmente protagonisti con dei graffi nei quali esprimersi, parlare, testimoniare e raccontare ciò che rappresenta la memoria nel materiale.
Allo Spazio Y, Zaffina sovverte l’intero ambiente espositivo con la caduta di un meteorite che stravolge la galleria. La porta il pavimento e le pareti appaiono visibilmente danneggiati e una massa vetrificata s’insinua nelle macerie. I notiziari parlano della caduta di un meteorite a Roma, proprio in via Quintili al numero 144. La domanda spontanea è: cosa ci evoca questo segno? Ma soprattutto, che senso ha?
Il senso viene costruito man mano, tramite infiniti dialoghi tra gli oggetti del lavoro, il pubblico, lo spazio e non solo; ogni opera dialoga anche con la storia, con il contesto sociale, scientifico e politico. Lo stesso meteorite atterato nel quartiere del Quadraro, non si presenta come la solita massa nera, ma è un blocco di plexiglas (vetro sintetico) che l’artista scolpisce dal dentro. Girando intorno all’oggetto misterioso, da ogni lato scopriamo una nuova forma; una complessa geometria liquida! Ciò che è evidente è l’instabilità. Forme che svaniscono e in altre occasioni riappaiono sotto altre luci.
Se ora siamo in una modernità liquida, davanti a un’economia fantasma, abbiamo paura di non controllare niente, non sappiamo quale è la vera e quale è la falsa bandiera, quale notizia del giornale è affidabile e via così, l’arte ha piu’ di sempre il compito di salvarci dal meccanicismo. Stiamo vivendo in un mondo astratto e unificato dal sistema capitalista e servono lampi che possano indicare una grammatica del dubbio. Se l’arte personalizza l’astrazione invadente della nostra attualità, rende immaginabile altre possibilità, riesce a rompere anche il sogno unificante del sistema. Ora sappiamo ciò che tradizionalmente chiamavamo la realtà, è semplicemente un montaggio, e proprio perché questa realtà sociale ha dimostrato di essere artificiale, possiamo anche immaginare di cambiarla.
Helia Hamedani