Ritorno al Futuro II è un parallelepipedo di 2,50 metri per 1 ricavato dall’incastro di vecchie videocassette. Nero, al primo impatto misterioso e imponente, viene spezzato, nel suo rigore, da piccole strisce colorate che introducono un ritmo più rassicurante e pop. Sono titoli di film, e l’intero lavoro è un corpo a corpo con la settima arte. È il 2001 quando Zaffina esordisce con la serie dedicata ai Monoliti, strutture in siporex, poliuretano o legno, dalle dimensioni mutevoli, dove le tipiche perforazioni dell’autore si staccano dalle pareti per acquisire lo statuto di segno autonomo. Il pezzo iniziale – bianco, installato in un sito bianco, figura alt(e)ra graffiata di rosso – ricorda la misteriosa presenza che in 2001: Odissea nello spazio scandisce i quattro tempi di narrazione. Il risultato di oggi al MACRO, al contrario, pur preservando un’aura aliena, introduce una inversione di tendenza… è più vicino a un inoffensivo Wall-e, e non solo per il recupero di materiali obsoleti. Sono trascorsi otto anni; cosa è successo? Ritorniamo, per qualche riga, al passato: dopo gli assemblaggi di tubi, rubinetti e frammenti di ferro, al volgere dei ’90 nella ricerca di Fiorenzo si affaccia il muro. L’atto di inciderne la superficie andando a indagarne asperità, segreti, profondità – a recuperare tracce di passaggio – è stato paragonato a uno scavo nella carne, all’immagine di limite. È una spedizione contro l’ignoto, le cui componenti sono memoria e ansia di futuro. Ma le tinte lisergiche dissimulano l’inquietudine. Poi arrivano i Monoliti e l’indagine vira su una scultura in cui contrapporre la geometria all’informe, il senso di vuoto all’esattezza delle misure. L’ultimo step è rappresentato dai blocchi di plexiglas. Persistono richiami a un presente enigmatico, ma la capacità di entrare nella lesione, sezionarla, dominarla in un certo senso, la rende inoffensiva. Non fa paura. È un approccio rasserenato, e Ritorno al Futuro II ne è la riprova: è un lavoro gioioso, dove un caos controllato contagia ogni angolo. Alla sommità, da una apertura creata durante la residenza – l’inconfondibile rottura – i nastri dei VHS esplodono in tutte le direzioni. Un brusio continuo, un chiacchiericcio confuso interrotto da poche, chiare, frasi iconiche, satura l’ambiente: sono dialoghi di film, uno sopra l’altro, in un montaggio che richiama l’attività del ricordo. Una volta terminata l’invasione dell’atelier, ecco l’opera impollinare il mondo, chilometri di pellicola irrompere nel museo, nelle strade, tra i palazzi. È la forza della cultura, che travolge e sparge i propri semi dove può.
Ritorno al futuro contiene, nel titolo, quel “2”, perché deriva da un intervento omonimo prodotto durante l’esperienza ai BoCs Art di Cosenza: già lì tentacoli lunghissimi attraversavano la via per depositarsi nel fiume e, idealmente, raggiungere il mare. Dal confronto con la parete all’atto di srotolare nastri, il momento performativo non è secondario nel processo di Zaffina: a Roma, il gesto ricalca la funzione del cinema (e delle arti in genere) di comunicare, informare, insinuarsi, per poi riaffiorare. La scultura di Fiorenzo è infestante, penetra nelle cose, e anche quando lo spazio viene ripristinato, qualche spora permane sempre. L’uso di videocassette lo sottolinea. Non si tratta solo di riprendere in mano e di ridar valore a oggetti destinati a sparire. La pratica del bricolage, associata all’azione di disseminare, è un ponte temporale che collega ieri oggi e domani. Facendosi gioco delle distinzioni tra cultura alta e bassa.
Carlotta Monteverde